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Influenza e infezioni, le persone obese si ammalano più spesso

obesità

Obesità come vera e propria patologia, responsabile dello sviluppo di condizioni severe come diabete, infarto e ictus ma anche della riduzione delle difese immunitarie. Un problema mondiale e globale – da qui l’origine della parola “globesity” – affrontato in occasione del simposio “Globesity and its metabolic and digestive consequences” organizzato a Parma dalla Fondazione Internazionale Menarini. «In presenza di obesità le difese immunitarie si riducono, per cui i soggetti obesi sono maggiormente suscettibili alle infezioni, perché presentano una minore risposta anticorpale alle vaccinazioni, inclusa quella più comune, il vaccino antinfluenzale» spiega Carmelo Scarpignato, docente di Farmacologia Clinica all’Università di Parma e Chairman del Simposio. «In questo senso l’obesità assume un’importanza anche sociale, perché il paziente obeso non soltanto si ammala con maggiore facilità, ma di conseguenza diffonde con maggiore frequenza le malattie infettive rispetto a una persona di peso normale». Nonostante l’obesità sia all’origine di diverse patologie, ancora oggi è sottovalutato il suo peso nello sviluppo di tali condizioni. «L’obesità non viene considerata una malattia, mentre oggi sappiamo con certezza che l’eccesso di tessuto adiposo a livello viscerale attiva un meccanismo fisiopatologico in grado di scatenare ipertensione e malattie cardiovascolari, infarto e ictus, ma anche malattie renali e metaboliche, la principale delle quali è senz’altro il diabete» avverte Michele Carruba, docente di Farmacologia all’Università di Milano. «Sono numerose le patologie che vengono considerate indipendenti, e quindi trattate di conseguenza, che invece potrebbero essere eliminate intervenendo sulla causa originale, cioè l’obesità. Per esempio, almeno il 35 per cento dei tumori potrebbe essere prevenuto grazie a una corretta alimentazione e mantenendo un peso corporeo nella media». Il controllo dell’obesità potrebbe non soltanto ridurre l’incidenza di diverse patologie, ma anche contribuire alla loro prevenzione. «Sappiamo che due persone su tre tra coloro che soffrono di malattia da reflusso gastroesofageo sono in sovrappeso oppure obese» prosegue Scarpignato. «Questo sintomo spinge il soggetto che ne soffre a rivolgersi al medico, per cui – in quell’occasione – è possibile eseguire controlli sul metabolismo glicidico e lipidico, sul cuore, sulla pressione arteriosa, per individuare precocemente il diabete, dislipidemie o patologie cardiovascolari. In questo modo la riduzione del peso corporeo contribuirebbe non soltanto a ridurre i sintomi del reflusso, ma anche a prevenire patologie (come il diabete mellito di tipo 2 e le malattie cardiovascolari), che compaiono più tardivamente rispetto alle manifestazioni gastrointestinali». Uno dei problemi relativi al trattamento dell’obesità riguarda però la mancanza di terapie farmacologiche. «Per questo motivo oggi sappiamo che l’approccio all’obesità deve essere assolutamente multidisciplinare. Il trattamento inizia con una terapia dietetica, associata all’esercizio fisico e ad un approccio comportamentale, eventualmente in associazione ad una terapia farmacologica. È dimostrato che questi approcci sono sinergici e determinano una riduzione del peso che è superiore a quella che ciascuno di questi trattamenti è in grado di determinare da solo» aggiunge Scarpignato. «Nei pazienti severamente obesi, cioè con un indice di massa corporea superiore a 35, si rivela decisamente efficace la chirurgia bariatrica, soprattutto di tipo malassorbitivo, che creando uno stato di malassorbimento permanente consente di ridurre il peso corporeo di numerosi chili. È necessario però considerare due elementi importanti: selezionare accuratamente i soggetti che possono sottoporsi alla chirurgia ed eseguire l’intervento in centri qualificati».

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