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Terapia del dolore, Siared: tra Stato e Regioni ci rimettono i cittadini

assistenza domiciliare

La Legge n. 38 del 2010 sulla terapia del dolore e cure palliative è un provvedimento all’avanguardia a livello europeo, ma in Italia è ancora una legge per lo più inapplicata per quel che riguarda la cura del dolore cronico.

Il paradosso è che in altre nazioni, come ad esempio la Francia, non esiste una legge di stato che ne obbliga la misurazione e cura, eppure le reti di terapia del dolore, attive da anni, sono parte integrante del sistema sanitario. «Nonostante sia stato stabilito il diritto del paziente alla cura del dolore, nonostante tale diritto faccia parte dei LEA e siano anche stati fissati i criteri minimi per l’ accreditamento delle strutture, e nonostante, infine, le Regioni abbiano firmato il relativo accordo già nel 2012, la situazione italiana è tutt’altro che omogenea». A descriverla sono gli Anestesisti Rianimatori, professionisti di riferimento nell’ambito della terapia del dolore, riuniti al 10° Congresso Siared che si è concluso ieri a Catania. I problemi, è stato evidenziato nel corso dei lavori, sono di diverso tipo. Per quel che riguarda l’applicazione e quindi la realizzazione della rete di cura per la Terapia del Dolore prevista dalla Legge, la mancanza di risorse economiche a livello regionale – in particolare nelle regioni con i piani di rientro – è una delle cause che ha impedito fino ad oggi la diffusione omogenea delle strutture di terapia del dolore con conseguenze gravissime sui pazienti. «La mancanza di omogenizzazione e standardizzazione sul territorio italiano – affermano gli esperti -, a partire dalla variegata denominazione delle strutture, non ha favorito la chiarezza dei percorsi e una comunicazione efficace nei confronti del paziente che spesso è disorientato oppure, quando orientato, molto confuso». Un altro punto dolente è l’assenza di programmazione dovuta principalmente alla mancanza di dati epidemiologici e dell’analisi territoriale del bisogno per fare una pianificazione razionale. «Non è un’analisi semplice – affermano gli esperti – perché si tratta di pazienti che seguono un percorso di cura spesso a fasi alterne e con un’aspettativa di vita elevata, ma senza il monitoraggio diventa difficile se non impossibile definire un piano di azione chiaro anche dal punto di vista economico e delle risorse umane. Una struttura di terapia del dolore di livello avanzato (Hub) prevede almeno due Anestesisti Rianimatori completamente dedicati, senza i quali è impossibile pensare ad un’attività realmente efficace che soddisfi le normative esistenti e quasi ovunque disattese. L’attuale situazione “a ranghi ridotti” spesso non consente il distaccamento di specialisti dalla sala operatoria o dalla terapia intensiva alla terapia del dolore. A tale dato va aggiunta la parcellizzazione degli ambulatori in più ospedali medio piccoli, piuttosto che la realizzazione di centri unici multidisciplinari di riferimento ad ampio raggio». Ad oggi, nonostante i dati parlino di milioni di malati cronici – pari al 10% della popolazione italiana percentuale che sale al 50% negli over 65, di cui il 60% donne –, il dato del bisogno appare sottostimato. L’accesso alla terapia del dolore spesso avviene in ritardo per mancanza di percorsi, con pazienti che si sottopongono a periodi alterni di cura e con un numero indefinito di persone che ricorre all’autosomministrazione di anti dolorifici quotidiani. La conseguenza è che nella maggior parte dei casi si convive con effetti collaterali da farmaci, mentre circa il 50% dei malati soffre di depressione secondaria proprio a causa di un deterioramento della qualità della vita. Il rovescio della medaglia di una situazione tutt’altro che rosea dal punto di vista dell’organizzazione è invece la diffusione di tecniche sempre più raffinate per il controllo del dolore che, affiancate alla corretta terapia farmacologica, mirano a migliorare la qualità della vita del paziente.

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