
I numeri ci raccontano un’Italia ancora predominata dalle disparità e disuguaglianze di genere, nella società, nella salute, nel mondo del lavoro e nella vita privata. Aspetti sociali e sanitari del disagio femminile
di Carla Collicelli*
Le donne in Italia sono il 51,3% della popolazione totale e più del 60% degli ultra ottantenni ed al 1 gennaio 2019 c’erano in Italia 14.456 ultracentenari, di cui l’84% erano donne. Quantitativamente dunque una maggioranza, specie tra gli anziani. Ed anche qualitativamente, l’impronta femminile sulla vita familiare, nel mondo della formazione, ed in molti ambiti qualificati del mondo del lavoro (pubblica amministrazione, sanità, ricerca) è forte, tanto che si parla di femminilizzazione, sia in economia che dal punto di vista sociologico.
Condizione femminile in evoluzione
Rispetto alla parità di genere, secondo Eige (edizione 2019), l’Istituto che calcola a livello europeo l’indice sulla uguaglianza di genere sulla base di sei aspetti principali (lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute) e due aggiuntivi (la violenza contro le donne e le disuguaglianze intersezionali) “malgrado i risultati ottenuti negli scorsi decenni e le misure adottate dalla Commissione … i progressi verso un’effettiva uguaglianza sono molto lenti”. Sulla base di questi dati l’Unione Europea risulta più vicina alla parità di genere nei settori della salute (88,1 punti su 100) e del denaro (80,4 punti), mentre le disuguaglianze di genere sono più preoccupanti nel settore caratterizzato da forme accentuale di potere economico e politico (51,9 punti).
In Italia, per l’82% dei maschi intervistati in una recente ricerca e per il 79% delle femmine, il ruolo della donna in Italia rispetto a 25 anni fa è obiettivamente migliorato. Ma è proprio così? Secondo il Bes dell’Istat del 2020 (Analisi sui dati di benessere equo e sostenibile) è avanzata nell’ultimo periodo, anche se lentamente, la presenza delle donne nei luoghi decisionali ed è cresciuto il loro peso nelle professioni scientifico-tecnologiche. Ma non migliora la partecipazione lavorativa generale, che anzi diminuisce tra 2019 e 2020. E secondo il Rapporto ASviS2020 sullo sviluppo sostenibile in Italia, l’indicatore di uguaglianza ed empowerment femminile, dopo una flessione nel 2016, è migliorato nel 2019 grazie ai dati sul lavoro qualificato delle donne, ma è ben lontano dall’aver raggiuntogli obiettivi di parità previsti.
Conciliazione e funzioni familiari
Come si ripercuote questa situazione generale sul benessere delle donne? Secondo una recente indagine di Ipsos (del 2018) un terzo delle donne intervistate non si ritiene soddisfatta della possibilità di bilanciare il proprio spazio di vita sociale e lavorativa con gli impegni familiari e professionali, ed anzi più è alto il livello di impegno sociale e lavorativo maggiore è la frustrazione. La donna si sente sola di fronte alle incombenze familiari, in quanto nella stragrande maggioranza dei casi deve occuparsi da protagonista dei figli e degli altri soggetti fragili della famiglia, ed anche quando ha un problema di salute personale è costretta ad occuparsene per lo più da sola. Per tutte queste situazioni la percentuale della responsabilità senza possibilità di delega riguarda una quota tra il 30 ed il 50% delle donne intervistate, mentre una quota analoga riguarda le donne che ricevono un qualche aiuto da un altro membro della famiglia nell’assolvimento di queste funzioni, ma in chiave subordinata. I casi di responsabilità piena del partner/coniuge riguardano a seconda dei casi quote tra il 5 ed il 12 % delle coppie.
L’asimmetria del lavoro familiare, misurata con la percentuale del carico di lavoro familiare svolto dalle donne tra i 25 e i 44 anni sul totale del tempo di lavoro familiare nelle coppie in cui entrambi sono occupati, è secondo il Bes dell’Istat marcata a sfavore delle donne. Ed anche nelle regioni settentrionali, dove la situazione è migliore rispetto a quelle meridionali, non si è arrivati all’equa distribuzione: nel biennio 2018/19, la percentuale del carico di lavoro familiare svolto dalle donne fra i 25 e i 44 anni, si attestava in queste regioni ancora al 60,9%.
Per quanto riguarda gli aiuti esterni, questi risultano in continua diminuzione, in quanto da almeno 20 anni a questa parte si va consumando l’indebolimento delle reti di aiuto informale. La rete di parentela è sempre più “stretta e lunga”, diminuiscono le famiglie aiutate (dal 23% al 17%), aumentano gli aiuti economici (48% di anziani ai giovani e 47% dei giovani agli anziani) ma calano gli aiuti diretti. Ed è evidente che le politiche per la famiglia e per la parità di genere non hanno prodotto i risultati attesi, almeno fino ad oggi.
La salute delle donne
In media, le donne nell’Ue vivono sei anni in più degli uomini (84 anni contro 78 anni). Ma il 33% delle donne, contro il 28% degli uomini, non si considerano in buona salute. Il numero di anni di vita in buona salute è aumentato negli ultimi tempi per gli uomini in 19 stati europei e per le donne in 15 stati. I maggiori guadagni sono stati realizzati da Cipro (+5,4 per le donne e + 4,4 per gli uomini) e dall’Italia (+ 4,5 per le donne e + 5 per gli uomini).
Per quanto riguarda l’Italia, se in termini di speranza di vita il vantaggio delle donne è evidente, i dati mostrano che il divario nei tassi di mortalità tende da qualche tempo ad attenuarsi e che la situazione è migliorata negli ultimi anni più per gli uomini che per le donne. Ad esempio in termini di obesità le di patologie cardiovascolari, dove tradizionalmente il vantaggio femminile era evidente, la situazione tende lentamente ad invertirsi, in particolare per le patologie cerebrovascolari. Con l’avvento della pandemia poi, l’evoluzione positiva degli ultimi anni ha subito un freno, che sta annullando, completamente nel Nord e parzialmente nelle altre aree del Paese, i guadagni in anni di vita attesi maturati nell’ultimo decennio. Per le donne la speranza di vita alla nascita scende infatti nel 2020 a 84,4 anni, un anno in meno rispetto all’anno precedente.
Ma le disuguaglianze di salute in termini di genere son particolarmente evidenti per quanto riguarda l’equità di accesso alle cure. Secondo la fonte Eige già citata, le esigenze sanitarie insoddisfatte in Europa risultano più elevate per madri e padri soli (rispettivamente 6% e 8%) e donne e uomini con disabilità (8% e 7% rispettivamente). In Italia, secondo l’Istat, particolarmente critica è la situazione dei ritardi e quella della rinuncia a prestazioni sanitarie necessarie a causa delle liste di attesa, che nel 2015 ha riguardato il 13,2% degli uomini ed il 18,4% delle donne. A causa di problemi legati ai trasporti, ritardi e rinunce, sempre nel 2015, hanno riguardato il 4,1% degli uomini ed il 5,7% delle donne. A causa di motivi economici, poi, ritardi e rinunce hanno riguardato il 10,1% degli uomini ed il 13,8% delle donne per almeno una prestazione, il 5,5% degli uomini e l’8,4% delle donne per esami e cure mediche, e per farmaci prescritti il 3,7% degli uomini ed il 5,2% delle donne.
Il benessere psicologico delle donne
Da sempre il benessere psichico delle donne è messo a dura prova dal contesto e dalle condizioni di vita. Nel 2020 meno della metà della popolazione (44,5%) traccia un bilancio positivo della propria esistenza, esprimendo un voto tra 8 e 10 sulla soddisfazione della propria vita (Bes 2020), mentre si registra un andamento di generale incremento nella quota di molto soddisfatti per la vita ma di calo nella quota di ottimisti, analoghi tra uomini e donne e per titolo di studio. Si conferma però la tendenza delle donne ad avere percentuali più basse di molto soddisfatte e di ottimiste rispetto agli uomini. Nel 2020, infatti, è il 43,4% delle donne che si dichiara soddisfatta perla propria vita, rispetto al 45,7% degli uomini, mentre il 27,3% delle donne si esprime in termini positivi sulle proprie prospettive future, rispetto al 30,7% degli uomini.
Nonostante quanto detto rispetto al sovraccarico familiare ad al difficile equilibrio tra vita attiva e vita privata, dai dati emerge comunque che l’insoddisfazione tocca in particolare le donne sole. I dati recenti del Bes ci dicono che solamente il 35,8% delle persone sole (era il 37,3% nel 2019) si dichiara soddisfatto per la propria vita rispetto, ad esempio, a quasi la metà delle persone che vivono in una famiglia di 4 componenti, e la quota di molto soddisfatti scende, soprattutto tra le persone sole in età più avanzata (di 9 punti tra le donne e di 10 punti tra gli uomini di 55-59 anni), ma anche tra le giovani donne tra 20 e 34 anni che vivono da sole (-17 rispetto al 2019) e tra gli uomini di 65anni e più (-4).
Particolarmente sentito è il disagio delle donne sole anziane, peraltro in deciso aumento vista la maggiore speranza di vita. Un terzo delle famiglie italiane è costituito da persone sole e le donne sole con almeno 60 anni sono il triplo degli uomini. Su questa realtà il contesto di vita incide da alcuni decenni in maniera problematica, in quanto come dicevamo si è venuto configurando un indebolimento crescente dei fattori spontanei di protezione sociale dell’individuo, a cominciare dalle reti familiari e di vicinato e dalle associazioni a partecipazione diretta. Il che va configurando una nuova povertà immateriale, spesso invisibile e nascosta, e che non dipende dalle condizioni economiche, ma da quelle esistenziali: una società impaurita e dalle “pile scariche” (secondo una felice definizione coniata dal Censis negli anni 90), famiglie ed individui dalla identità fragile, e più recentemente una diffusa incertezza rispettoal futuro, che determina uno “stato di ansia perenne” che tocca un po’ tutti, ma in particolare le donne sovraesposte rispetto ai carichi lavorativi e familiari, e le donne sole.
Il disagio psichico
Guardando ai dati epidemiologici relativi al disagio psichico, le statistiche segnalano da tempo, oltre all’aumento delle patologie croniche, spesso in forma plurima, anche l’aumento del disagio psicologico e mentale, che si manifesta in particolare tra i giovani sotto i 34 anni, tra gli stranieri, tra le donne, tra i disoccupati e tra i cittadini del Nord del paese. Il disturbo più diffuso risulta essere la depressione, che coinvolge secondo dati Istat quasi 3 milioni di persone, di cui più della metà donne. Ma anche un anziano su 5 soffre di depressione ed aumentano i soggetti che hanno necessità di aiuto psichiatrico o psicologico, soprattutto tra gli over 40.
La recente situazione pandemica ha aumentato il rischio di disagio psichico. Secondo la Società Italiana di Psichiatria (Sip) nell’ultimo annosi è registrato un aumento dei casi di ansia post-traumatica, con una stima di 300 mila nuovi pazienti, che vanno ad aggiungersi ai 900 mila già in carico ai servizi psichiatrici. E come spiega l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), se “oltre il 20% degli adulti di età superiore ai 60 anni ha condizioni mentali o neurologiche sottostanti … la malattia da Covid-19 è sempre più associata a manifestazioni mentali e neurologiche, nonché all’ansia, ai disturbi del sonno e alla depressione”.
Secondo la rilevazione dello “Stressometro” del Centro Studi del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (Cnop), in collaborazione con l’Istituto Piepoli, del 27 aprile 2021, il 39% della popolazione ha in questo periodo un livello di stress elevato, con un indice generale di 62 su 100, e le cause che vengono segnalate sono l’emergenza coronavirus (dal 58% di febbraio-marzo al 40%), la condizione economica e lavorativa (oggi al 31% contro un 25% degli ultimi mesi) ed i fattori psicorelazionali (rapporti familiari, con i figli, con i colleghi di lavoro, benessere soggettivo) oggi al 21% contro un 15%. E si conferma che le donne sono più stressate degli uomini, “come se stessero catalizzando addosso a se tutte le conseguenze più difficili della pandemia (la gestione della famiglia, dei figli) pagando conseguenze psicologiche molto importanti”.
*Sociologa del welfare e della salute, Associate Researcher presso Cnr-Itb Roma; membro del Segretariato Asvis
Panorama della Sanità 8-2021