
Abbiamo intervistato Nicola Vanacore, responsabile dell’Osservatorio demenze dell’Iss e Direttore del corso “Percorsi diagnostico terapeutici assistenziali per le demenze” con il quale abbiamo fatto il quadro della situazione nel nostro Paese
È un corso importante, quello organizzato questa settimana dal Centro Nazionale per la Prevenzione delle Malattie e la Promozione della Salute (CNaPPS) dell’Iss. “Percorsi diagnostico terapeutici assistenziali per le demenze”. VI edizione. Uno sforzo formativo che si iscrive in quella che il direttore del corso, Nicola Vanacore responsabile dell’Osservatorio demenze dell’Iss, non esita a definire “la più grande operazione di sanità pubblica che sia stata mai condotta nel nostro Paese sul tema della demenza: Il Fondo per l’Alzheimer e la demenza, istituito con la legge di Bilancio del 2021”. Stiamo in effetti parlando del primo finanziamento pubblico sulla demenza dopo la pubblicazione del Piano Nazionale delle demenze (datato 2015). Plaudendo all’iniziativa formativa (che peraltro non si esaurisce qui, ma che prevederà nuovi interessanti appuntamenti) e per comprende a pieno la portata di questa occasione che la sanità, tutta, ha per rispondere alle esigenze assistenziali di circa 2 milioni di italiani, abbiamo rivolto a Nicola Vanacore alcune domande.
Perché è importante mettere questa tematica al centro di un percorso formativo?
Il corso è importante in quanto abbiamo necessità di redigere in ogni Regione e PA e poi in ogni Asl un Pdta specifico per la demenza che sia di qualità elevata e consenta di poter organizzare al meglio e di programmare tutti i servizi dedicati alle persone con demenza, definendo la relazione dei medici di medicina generale con tutti i professionisti impegnati nella diagnosi e assistenza delle persone con demenza dai Cdcd ai Centri Diurni fino alle Rsa. L’impegno è quello di poter sostenere il Ssn pubblico nella grande sfida della demenza e del deterioramento cognitivo lieve che coinvolge nel ns Paese circa 2 milioni di persone e 3 milioni di familiari ed ha un impatto socio-economico devastante con stime dei costi diretti ed indiretti pari a circa 16-18 miliardi di euro l’anno.
Quali sono gli obiettivi del corso?
Il corso ha l’obiettivo di formare sul tema dei Pdta sia gli operatori socio-sanitari coinvolti nell’assistenza delle persone con demenza che i referenti delle Regioni e Province Autonome che hanno un incarico specifico sulla demenza. In particolare gli obiettivi del corso sono di poter consentire ai partecipanti di identificare gli aspetti metodologici e clinico-organizzativi per l’elaborazione di un Pdta, declinare a livello locale le fasi per la costruzione di un Pdta ed identificare gli strumenti per il monitoraggio e l’implementazione dei Pdta. Il corso si propone dunque di tradurre nelle realtà locali il documento “Linee di indirizzo nazionali sui Pdta per le demenze” redatto dal Tavolo Nazionale delle Demenze ed approvato in Conferenza Unificata nel luglio del 2017. Abbiamo l’obiettivo di aggiungere ai Pdta in essere del Veneto, Emilia Romagna e Lazio altri Pdta regionali in modo da rispondere in modo adeguato ed organizzato ad una vera e propria emergenza socio-sanitaria. Attendiamo tra qualche mese quello della Lombardia.
Si parla, chiaramente, della messa in opera del Piano demenze che sta prendendo corpo nelle varie realtà regionali. Se le chiedessi di indicarci un modello virtuoso (e perché) quale sarebbe?
Penso che non esista uno specifico modello virtuoso. Noi dobbiamo fare in modo che tutti i progetti in atto nelle Regioni e PA siano condivisi e rappresentino un patrimonio comune del Paese nel cercare di migliorare l’assistenza delle persone con demenza e i loro familiari. Ricordo che i progetti delle Regioni e delle Province Autonome sono concentrati su una o più delle cinque linee progettuali previste dal Decreto del Fondo per l’Alzheimer e la demenza (diagnosi precoce – prima cioè dell’insorgenza della demenza, diagnosi tempestiva – quando la demenza è già evidente, telemedicina, tele-riabilitazione e trattamenti psicoeducativi, di stimolazione cognitiva e di supporto ai caregiver) sono stati presentati in un convegno tenutosi in Iss il 26 settembre e tutte le presentazioni sono disponibili al sito dell’Iss.
Il piano è complesso e coinvolge molti settori e figure professionali. Quali sono, se ve ne sono, gli aspetti critici (e migliorabili)?
Ritengo che come per tutte le operazioni complesse pianificate per questione complesse come la demenza vi siano punti di forza ed elementi di criticità. Il maggiore punto di forza è sicuramente nel riconoscere che in corso un’attività che coinvolge un migliaio di persone, tra professionisti socio-sanitari e responsabili della cosa pubblica, nelle istituzioni centrali e locali, che produrrà sicuramente un cambiamento nella realtà assistenziale del nostro Paese per le persone con demenza. La criticità maggiore è quella che abbiamo necessità di poter disporre sia a livello centrale che locale di una macchina amministrativa più efficiente che sostenga e faciliti gli sforzi dei tecnici nell’attuazione di tutti i progetti. Penso che questa sia la criticità di sistema che dobbiamo urgentemente affrontare, con lucidità e senso di responsabilità, anche in previsione dell’aggiornamento del Piano Nazionale della Demenze e dell’auspicabile ri-finanziamento del Fondo per l’Alzheimer e la demenza per il triennio 2024-2026.
L’obiettivo principale del Piano è quello di rendere omogenei gli standard di assistenza. Quanto siamo vicini all’obiettivo?
Lontano. La pandemia ha accentuato le differenze pre-esistenti tra i diversi sistemi socio-sanitari regionali. Ricordo che tutti i documenti nazionali ed internazionali disponibili nonché la letteratura scientifica documentano che le persone con demenza e i loro familiari hanno pagato il tributo più alto, in termini di mortalità e di peggioramento delle condizioni cliniche, alla pandemia da Covid-19. Abbiamo necessità di dati e di documentare al meglio queste differenze. Per questo motivo tra le attività previste nel Fondo ed assegnate all’Osservatorio Demenze dell’Iss sono state incluse tre survey specifiche sui servizi dedicati alle demenze (Cdcd, Centri Diurni e Rsa) nonché la conduzione di 40 focus group in tutte le regioni per gli operatori e i familiari dei pazienti ed infine un’indagine nazionale sulle condizioni socio-economiche dei caregiver dei pazienti. Siamo ottimisti nel fatto che quando saranno resi pubblici i dati sia a livello nazionale che di tutte le regioni e le PA si potranno definire azioni si sanità pubblica per poter raggiungere l’obiettivo di rendere omogenei standard di assistenza.
Il problema della disomogeneità di servizi sanitari/assistenziali offerti ai cittadini non riguarda purtroppo solo l’assistenza. Posto che non esiste una bacchetta magica, e che in un sistema decentralizzato come il nostro la partita è ancor più complessa, c’è una strategia di base che potremmo mettere in atto?
Abbiamo necessità di rinsaldare il tessuto connettivo tra le Istituzioni centrali e quelli regionali e delle aziende sanitarie locali e dei distretti territoriali. Nel nostro sistema documenti di indirizzo e di governance come il Piano nazionale delle demenze devono essere portati ed attuati nei diversi territori. Non possiamo ignorare la crisi in atto del Ssn pubblico documentata da almeno un decennio. Ci vogliono finanziamenti per assumere persone qualificate da dedicare all’assistenza delle persone con demenza. Abbiamo bisogno di un maggiore coordinamento tra il Piano Nazionale della Demenza, il Piano Nazionale della Prevenzione, il Piano nazionale della cronicità, il Pnrr ed i provvedimenti legislativi per le persone non autosufficienti. Noi dall’Iss diciamo che culturalmente dobbiamo essere pronti e fornire delle risposte ad un tema che va dalla prevenzione, ai biomarcatori fino ai pannoloni. Ecco il perché di un Pdta. Non possiamo permetterci di fallire.
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