
Il Presidente di Anaste analizza con noi la delicata situazione del comparto assistenziale entrando nel merito dei problemi e delle soluzioni ad oggi messe in campo. Tra le tante ipotesi una sola certezza: “L’Italia invecchia e noi non siamo pronti”.
Partiamo dai numeri. A fronte di quasi 4 milioni di over 65 non autosufficienti in Italia, i posti letto attualmente previsti nelle residenze sono circa 300 mila. Far di conto è piuttosto facile: la popolazione italiana invecchia, ma noi non siamo pronti a prendercene cura. Urgono soluzioni che sembrano arrivare da un Pnrr che promette di essere la pietra angolare su cui rifondare l’intero sistema sanitario del nostro Paese e da alcuni impianti normativi che si propongono di rimaneggiare radicalmente il settore dell’assistenza. Chimera o punto di svolta? Lo abbiamo chiesto a Sebastiano Capurso, Presidente Anaste.
Presidente, la popolazione invecchia e il sistema assistenziale sembra in grande affanno. Ci aiuti a scattare una fotografia della situazione.
La situazione di oggi è molto complicata soprattutto a causa di alcuni errori di programmazione e di pianificazione delle risorse nati da una sottovalutazione dell’incremento demografico rispetto al numero degli anziani. Noi, lo si sottolinea spesso, siamo un paese di anziani, alle volte di età molto avanzata e quindi con esigenze assistenziali complesse. Secondo i dati dell’Istat in Italia si contano quadi 4 milioni di anziani non autosufficienti. È qui, in particolare, che la programmazione è mancata sotto diversi aspetti.
Il primo è legato alle risorse, che sono largamente insufficienti rispetto ai bisogni effettivi di questa popolazione.
Il secondo aspetto riguarda le strutture. Quelle adeguatamente predisposte sono poche e non possono far fronte alle esigenze complessive, senza poi considerare il fatto che non c’è ancora un piano nazionale per lo sviluppo delle Rsa.
Terzo grande problema riguarda il personale. Che manca. Malgrado la grande necessità, non si è sviluppato un piano di integrazione, soprattutto riguardo al personale infermieristico. Il grande paradosso è che abbiamo migliaia di posti disponibili che restano vacanti (malgrado la conclamata crisi occupazionale del nostro paese).
Però qualcosa sembra muoversi. Arrivano il Pnrr, il Dm77 e il Ddl anziani. Basteranno?
Il Pnrr è la grande speranza, ma al suo interno non vi è alcuno spunto incoraggiante sull’attività residenziale. Anzi, al contrario, vi si legge addirittura un indebolimento del settore. Si cavalca piuttosto l’idea di destinare un cospicuo finanziamento (che a ben vedere si potrebbe forse usare per questioni più utili) per riconvertire alcune Rsa in gruppi appartamento o situazioni di bassa assistenza. Peccato però che chi lo ha pensato non ha compreso il cuore del problema: ossia che noi abbiamo principalmente la necessità di assistere i più compromessi che non si possono assolutamente trasferire dalle Rsa alle strutture a bassa assistenza.
Per il resto leggiamo di un Pnrr che destina risorse ad operazioni di edilizia sanitaria. Ristrutturazioni di vecchie strutture che verranno trasformate nelle cosiddette ‘case’ e ‘ospedali’ di comunità e che però rischiano di essere molto costosi e, quel che è peggio, inefficaci.
Quindi, invece di potenziare le Rsa, che ad oggi sono a tutti gli effetti l’unica risposta per le cure di lungo termine, si investono risorse per iniziative inutili e per realizzare cattedrali nel deserto.
Per quanto concerne invece il decreto 506, rilevo piuttosto il problema di confinare l’assistenza degli anziani non autosufficienti nel macro settore del sociale. Questo approccio, va detto a chiare lettere, rischia di limitare fortemente i loro diritti perché nella grande maggioranza dei casi parliamo di anziani, sì, ma che sono anche e soprattutto malati. Non è etico quindi limitare il loro diritto di cura confinandoli in un sistema che ha un finanziamento stabilito nella legge di bilancio e che quindi può essere soggetto a limitazioni.
Mi perdoni, ma mi sembra di capire che al di la delle scelte di intervento il problema sia più che altro di approccio. Si offrono sì, investimenti e soluzioni al mondo dell’assistenza, ma lo si fa guardando nella direzione sbagliata. È corretto?
Lei ha centrato il problema. Noi abbiamo storicamente strutturato, soprattutto per quanto riguarda i servizi pubblici, la risposta sulla base delle esigenze di chi i servizi li eroga e non di chi li utilizza. In buona sostanza abbiamo modulato le risposte sulla base delle disponibilità.
Non abbiamo invece mai fatto in questi anni il discorso opposto ponendoci la domanda più ovvia: cosa serve a questi anziani? Il risultato è un sistema che oggi funziona con grandissima difficoltà.
Ora, quel risulta oggi ancor più assurdo è che invece di venire incontro alle esigenze effettive, individuabili da una analisi attenta di questo sistema, si è portata avanti una visione ideologica che ha messo la ‘casa’ come principale luogo consono alla cura dell’anziano e l’assistenza domiciliare al centro di una risposta ai suoi bisogni. Ma questa impostazione risulta monca di una analisi attenta delle risorse effettivamente disponibili sul territorio. L’assistenza domiciliare ha infatti un assorbimento di risorse professionali enorme rispetto alle strutture, il che si traduce in una sua impraticabilità di fatto per oggi e presumibilmente per i prossimi anni. Si tratta insomma di un fallimento annunciato.
In quest’ottica non appare risolutiva nemmeno la strutturazione dell’Ospedale di comunità, una struttura ‘ponte’ deputata a fare da raccordo tra ospedale e territorio che però di fatto non è in grado di risolvere il problema del comparto assistenziale.
Le faccio una domanda secca: siamo ancora in tempo per correggere la rotta?
Spero di sì, altrimenti le grandi occasioni rappresentate dalla riforma della non autosufficienza e dal Pnrr rischiano di essere sprecate.
La legge delega per la non autosufficienza è ancora oggetto di discussione, quindi perfettibile, ma sul Pnrr le cose sono più complicate. Se non si fa velocemente marcia indietro sugli investimenti destinati alle case e agli ospedali di comunità quel verrà a mancare saranno risorse vitali per l’assistenza e per le strutture che oggi assistono gli anziani e che sono allo stremo.
Quali i principali problemi delle Rsa oggi?
Su questo ci sono degli studi ampiamente esaustivi. Diciamo che il crollo dei fatturati in questi anni di covid e la riduzione delle marginalità impattano pesantemente. Si pensi poi al problema delle rette, adeguate l’ultima volta nel 2012, che non sono più state soggette ad alcun tipo di revisione (nemmeno riguardo agli incrementi Istat). Il risultato è una situazione di crisi che per moltissime strutture ha significato la chiusura delle attività.
Fortemente impattante è poi il mutamento delle patologie assistite in Rsa. Oggi le strutture sono chiamate a fornire assistenza ad anziani molti più compromessi e con maggiori bisogni assistenziali con tutti gli aumenti che ne derivano.
Da non trascurare poi le voci di costo rese necessarie dalla emergenza pandemica (Dpi, test e varie esigenze organizzative) e i drammatici aumenti in bolletta derivati dal caro energia.
Va da sé che serve ripensare alla tenuta del settore in modo complessivo prima che la situazione diventi esplosiva sia dal punto di vista strutturale che sociale, e per fare questo non bastano iniziative spot delle singole regioni.
Giusto, le Regioni. L’autonomia differenziata potrebbe acuire le differenze territoriali nel settore?
Esistono su questo delle rassicurazioni circa il mantenimento dei Lea, ma siamo di fronte ad un vecchio problema. La proposta di maggiore autonomia viene, naturalmente, da quelle regioni nelle quali la sanità funziona meglio. Il pericolo è che gli altri non tengano il passo.
Per la sanità, e per il settore sanitario assistenziale l’autonomia differenziata resta quindi un grosso rischio che potrebbe tradursi in un disastro sociale.