
“La sanità che cambia”, intitolano i quotidiani con un entusiasmo che stimola la curiosità.
di Giovanni Monchiero*
Leggendo gli articoli si apprende che il ministro Schillaci è riuscito ad infilare nel “decreto bollette” una norma che consente a infermieri e ostetriche l’esercizio della libera professione. Si spera, per questa via, di trovare il personale per gli Ospedali di Comunità previsti dal Pnrr, che si teme destinati a rimanere deserti. Ma non eravamo contro i gettonisti? Certo. Infatti, si annunciano restrizioni sia ai singoli medici che alle cooperative che li organizzano. Si annunciano anche altre cose, come l’anticipo degli incentivi per chi lavora in Pronto Soccorso e nuove possibilità di impiego per gli specializzandi, mentre per altri provvedimenti, che sarebbe stato davvero indecoroso infilare in un Decreto Legge che riguarda tutt’altro, interverrà un disegno di legge: riduzione del carico fiscale per le prestazioni aggiuntive, nuovi limiti, più restrittivi, all’età pensionabile (sono stati “allargati” l’altro ieri), procedimento d’ufficio per le aggressioni al personale sanitario. E altre minuzie.
In attesa della nuova sanità, mi frulla in mente un piccolo elenco, non esaustivo, dei mali che affliggono quella attuale: sottofinanziamento cronico (pochi giorni fa la richiesta dei Presidenti di Regione di 5 miliardi in più per il 2023, ovviamente inevasa); carenze di personale, in fuga all’estero e verso il privato; retribuzioni non in linea con i paesi europei; condizioni di lavoro e burn out; liste d’attesa inaccettabili, anche per i ricoveri, persino per patologie urgenti e gravissime; malattie rare e farmaci orfani; mancata revisione delle tariffe di Drg e prestazioni ambulatoriali; scarsa attenzione per la ricerca; abuso del pay-back nei rapporti con i fornitori privati; differenze inaccettabili nella qualità e nell’accesso ai servizi fra Nord e Sud e anche tra Asl e Asl; Lea garantiti in modo appena sufficiente e solo in metà delle regioni.
Per tappare ognuno di questi buchi occorrerebbero miliardi, non disponibili, e decine di interventi normativi che il Parlamento non troverebbe il tempo di esaminare. A una vera riforma organica che ripensi il sistema; lo adatti ai tempi con l’ausilio di nuove tecnologie; lo sgravi da funzioni ormai inutili; lo indirizzi verso un concetto nuovo di assistenza, basato sulla presa in carico per tutti, non solo per i cronici; affermi il primato della funzione di tutela; aiuti l’ospedale a superare il complesso della cittadella assediata; a una riforma, insomma, sorretta da vera visione d’insieme, non sta pensando proprio nessuno. Se in molti ci lavorassero concordemente, sarebbe comunque difficile realizzarla; ma così…
Leggo stamane (posta del più diffuso quotidiano nazionale) la lamentela di una utente che si è vista proporre una visita cardiologica a giugno 2024, peggio di quanto le era accaduto l’anno scorso quando le attività diagnostiche subivano ancora i ritardi causati dal Covid. Ovviamente andrà a pagamento, fra tre giorni.
Il Servizio Sanitario Nazionale sta cambiando. Rapidamente. Irreversibilmente. Sono passati 17 anni da quando il Censis pubblicò una ricerca secondo la quale il 9% degli Italiani aveva rinunciato, almeno in parte, alle cure. Da allora il dato è entrato nel dibattito corrente e viene persino rilevato dall’Istat. E non c’è rapporto annuale dei centri di ricerca che si occupano di Sanità (Crea sanità, Cergas della Bocconi, Altems della Cattolica, per limitarsi ai più noti) che non evidenzi le ingravescenti lacune della sanità pubblica, specie nelle attività diagnostiche ambulatoriali.
I poverissimi rinunciano alle cure. Chi può paga. A integrare la libera professione intra-moenia, si sono moltiplicati i centri diagnostici privati, quelli cui si accede a pagamento diretto (“out of pocket”, dicono gli economisti) e anche per la chirurgia minore l’iniziativa del privato non convenzionato fornisce soluzioni alternative a liste di attesa intollerabili.
Il nostro non è più un sistema universalistico ed egualitario. Senza un vero timoniere, la navicella del Ssn naviga in acque perigliose, fra scogli e tempeste, indirizzata, forse, verso l’arcipelago delle assicurazioni. L’isola di Beveridge è un puntino sull’orizzonte. Alle nostre spalle.
*Editorialista Panorama della Sanità