
La collaborazione tra industria, accademia e governo e la creazione di partnership con altri enti e imprese è un percorso ineluttabile e ineludibile
di Gianvito Martino*
La trasformazione delle Università, alla fine del XIX secolo, da alte scuole di formazione in imprese capaci di avere una funzione sociale, non solo nell’ambito dell’insegnamento ma anche in quello della ricerca, ha di fatto cambiato la cosiddetta “infrastruttura della conoscenza”. Cambiamento che ha incontrato la necessità delle industrie del tempo, partecipi della rivoluzione industriale, di avere laboratori di ricerca industriale. L’incontro tra un cambiamento culturale e un’esigenza pratica diviene sempre più rilevante nella seconda metà del XX secolo, quando il quadro internazionale cambia, aumenta la concorrenza economica internazionale, finisce la Guerra Fredda ed emergono nuovi modelli di sviluppo economico basati sulla conoscenza.
Il nuovo modo di rapportarsi di questi due mondi – da un lato l’accademia, o più in generale gli istituti di ricerca (e.g. Irccs, Università) e dall’altro l’industria – necessitava, quindi, di un nuovo contratto. Mentre il precedente contratto era basato su un modello lineare di innovazione, presupponendo solo contributi a lungo termine della conoscenza accademica all’economia, il modello nuovo che si andava imponendo, e che tutt’ora tende a predominare, prevedeva possibili contributi sia a lungo che a breve termine, sia nell’ambito della costituzione di nuove imprese sia nei contratti di ricerca in settori particolarmente innovativi (e.g. biotecnologie, informatica). Un nuovo modello di innovazione capace di catturare i molteplici collegamenti reciproci che caratterizzano la capitalizzazione della conoscenza.
Il maturare di questa convinzione trova il suo nadir proprio alla fine del XX secolo quando Etzkowitz e Leydesdorff (cfr. “The Triple Elix”, 1995) propongono la cosiddetta “tripla elica” e cioè la necessità di instaurare una tripla relazione “accademia-industria-governo” che gli autori appunto considerano come componente chiave di qualsiasi strategia di innovazione nazionale o multinazionale che sia.
Ma mentre dal punto di vista teorico il ragionamento di cui sopra è condiviso dai più, meno condivisibile diventa la modalità con cui costruire e instaurare un rapporto virtuoso tra queste entità che possa alla fine fare la differenza ma nel tempo si è arrivati ad alcune regole.
In primis, bisogna definire il contesto strategico del progetto come parte integrante del processo di selezione. Ciò lo si può fare solo definendo molto bene quali sono gli outcome della collaborazione e qual è il valore aggiunto che viene generato sia per gli istituti di ricerca sia per le industrie. In secundis, è necessario selezionare con attenzione i project manager cosiddetti “di confine” e cioè persone che abbiano almeno tre attributi chiave: un’approfondita conoscenza della tecnologia di cui si ha bisogno, l’inclinazione a costruire reti tra organi funzionali e organizzativi e la capacità di fare collegamenti tra ricerca e opportunità di applicazione del prodotto. Dopodiché è necessario condividere con gli Istituti di ricerca la visione di come la collaborazione può aiutare l’azienda, condivisione necessaria per instaurare una proficua collaborazione. Per fare ciò, bisogna selezionare ricercatori che capiscano di pratiche aziendali e di obiettivi tecnologici, assicurandosi che la squadra accademica apprezzi il contesto strategico del progetto. Altro requisito è l’investimento in relazioni a lungo termine; bisogna avere piani di sviluppo pluriennale perché i tempi della collaborazione sono inevitabilmente lunghi. Ne va da sé che si devono coltivare relazioni con i ricercatori di destinazione, anche se la ricerca non è supportata direttamente. Stabilire un forte legame di comunicazione con la squadra dei ricercatori organizzando riunioni face-to-face su base regolare è altro prerequisito indispensabile. Questo lo si può fare solo sviluppando una strategia routinaria di comunicazione globale; così facendo si migliora l’integrazione tra i partners, e si incoraggia il prolungato scambio di personale, sia dall’azienda all’istituto di ricerca sia viceversa. Dopodiché bisogna creare un’ampia consapevolezza del progetto all’interno dell’azienda promuovendo le interazioni tra la squadra di ricercatori accademici e le diverse aree funzionali dell’azienda stessa, assicurando continui feedback relativamente all’allineamento del progetto con le esigenze aziendali. Infine, bisogna sostenere il lavoro internamente all’azienda ed all’istituto di ricerca sia durante il contratto sia dopo, fino allo sfruttamento finale dei risultati della ricerca. Ciò implica che è necessario fornire il supporto interno adeguato alla supervisione tecnica e di gestione così come responsabilizzare l’azienda relativamente alla diffusione dei risultati della ricerca.
Il campo in cui le partnership accademia-industria si sono maggiormente consolidate negli ultimi tempi è il campo farmaceutico grazie, soprattutto, al costante aumento della spesa in tale settore: le revenues delle 100 maggiori Big Pharma al mondo è risultato solo nel 2020 di 4 trilioni di dollari. Spesa dovuta non solo ad un aumento della domanda per i prodotti farmaceutici ed alla scadenza dei brevetti di prodotti molto importanti, ma anche alle politiche di contenimento dei costi per i farmaci adottate da molti paesi Ocse. Oltre a ciò, i più recenti progressi scientifici nel campo della bio(tecno)logia – cellulare e molecolare – hanno determinato lo sviluppo di nuovi prodotti terapeutici più potenti che sono stati denominati genericamente “terapie avanzate” (e.g. terapia genica, terapia cellulare, ingegneria dei tessuti). Terapie avanzate che hanno un enorme potenziale sia per i pazienti che per l’industria, ma che sono molto costosi: mentre il costo di una terapia oncologica è passato da 4 mila euro nella seconda metà degli anni ‘90 a 70-100 mila euro negli anni 2015-2020, le terapie avanzate hanno dei costi che vanno dai 300 mila al 2,5 milioni di euro.
Lo sviluppo così accelerato del settore farmaceutico a cui abbiamo assistito negli ultimi anni ha anche, parallelamente, accelerato le partnership tra i ricercatori, gli istituti di ricerca e l’industria del farmaco. Partnership che si sono concretizzate attraverso vari modelli. Sono stati creati Innovation Centers nei quali le Big Pharma forniscono supporto economico, risorse umane e tecnologie mentre i ricercatori forniscono ipotesi sui meccanismi di funzionamento dei nuovi farmaci; il processo di decision making è delegato ad uno steering committee comune.
In conclusione, la partnership tra istituti di ricerca (e.g. Università, Irccs) e industria è da considerarsi percorso ineluttabile e ineludibile, soprattutto nel settore farmaceutico, considerando gli sviluppi scientifici e tecnologici a cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Una partnership virtuosa che valorizzi i vantaggi competitivi che entrambi i contraenti possono fornire non può che giovare alle richieste di una società della conoscenza sempre più esigente, soprattutto nel campo della salute. Il contributo dello Stato è essenziale, ma solo se tende a favorire le partnership stesse come nel modello della “The Triple Elix”; viceversa il contributo dello Stato risulterebbe irrilevante se non controproducente.
*Direttore Scientifico IRCCS Ospedale San Raffaele; Prorettore alla ricerca e alla terza missione Università Vita-Salute San Raffaele