
“Nel settore sanitario le criticità “ormai evidenti richiederanno interventi strutturali di portata ben superiore a quelli introdotti con il d.l. 34. In questo ambito, il riassorbimento dei ritardi dovuti alla pandemia si presenta più oneroso e l’aggiornamento dei Lea non è più rinviabile”.
È quanto sottolinea la Corte dei Conti nell’edizione 2023 del Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, presentato ieri al Parlamento, a Roma – presenti anche i Ministri Giorgetti (Mef) e Calderone (Lavoro e Politiche sociali) – nella Sala Capitolare presso il chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva. I lavori sono stati aperti dal Presidente della Corte dei conti, Guido Carlino. Secondo la Corte la spesa sanitaria è oggi, dopo la difficile fase pandemica, alla ricerca di nuovi equilibri. “La contabilità nazionale ha di recente dato conto – si legge nella presentazione del Rapporto – di un sistema che conferma, anche nel 2022, una spesa in riduzione in termini di prodotto e che assume, nelle previsioni del Governo nel DEF 2023, un profilo in continua flessione anche nel prossimo triennio. Una “normalizzazione” in attesa che i fenomeni demografici portino a nuovi incrementi. Si tratta di un quadro che trova nei conti regionali (diversi per natura, ma essi stessi fonte della contabilità pubblica) ulteriori elementi, che consentono di chiarire il percorso e valutarne le implicazioni anche guardando oltre i soli dati contabili. Il risultato di esercizio, misurato quale differenza tra le entrate previste dallo Stato per la copertura dei LEA e le spese sostenute per l’assistenza sanitaria, si presenta in netto peggioramento. Le perdite – prosegue la Corte – crescono, passando dai 1.025 milioni di disavanzo del 2021 a poco meno di 1.470 milioni (erano 800 milioni nel 2020). Sulla lettura dei risultati dell’anno incide, poi, la considerazione nelle entrate dei ripiani dei disavanzi a carico delle aziende produttrici di dispositivi medici relative al quadriennio 2015-2018: l’importo considerato nel bilancio 2022 (riferito ad un arco di cinque anni) è ben superiore a quello ipotizzabile per un singolo esercizio; la sua “sterilizzazione” porterebbe a un ulteriore peggioramento del risultato complessivo. Il fenomeno è diffuso in tutte le aree del Paese, ma tocca in misura maggiore le regioni a statuto ordinario del Centro Nord. Presenta un risultato positivo la Lombardia, nonostante il forte calo subito nell’anno dalla voce relativa alla mobilità sanitaria netta, come effetto “ritardato” del blocco dell’assistenza nel 2020. Seppur a tassi più contenuti dello scorso biennio, la spesa sanitaria continua a crescere più delle entrate, ponendo le Amministrazioni di fronte alla necessità, come è avvenuto anche quest’anno, di “dirottare” al finanziamento del settore risorse aggiuntive per garantire l’equilibrio dei conti.
Nel 2022, la spesa sanitaria pro-capite al netto della mobilità (in altri termini, la spesa riferita alla popolazione residente nella regione) è stata pari a 2.241 euro, con un tasso di crescita rispetto al 2021 del 2,2 per cento. Dal 2019 ad oggi, le regioni non in Piano di rientro hanno registrato un incremento del costo pro capite del 13,1 per cento (il 10,2 le altre). Sono le regioni del Nord a presentare le variazioni più significative sia nell’anno che nel periodo, con quelle a statuto speciale che aumentano la spesa in misura maggiore, rispettivamente del 3,6 e del 14,4 per cento. Guardando alla spesa sanitaria pro-capite, si accentua la variabilità interregionale, mettendo in luce non tanto le differenze nei bisogni delle popolazioni, quanto piuttosto le diverse capacità di reazione legate alle caratteristiche dei modelli di produzione dell’assistenza a livello regionale.
Il monitoraggio dei LEA relativi all’esercizio 2021, pur evidenziando un miglioramento generale dopo la battuta di arresto dell’anno precedente, con 14 regioni che raggiungono la sufficienza in ciascun livello di assistenza (rispetto alle 11 del 2020 ma alle 15 del 2019) indica il permanere di criticità, soprattutto nelle regioni meridionali. Continuano a rilevarsi valori estremamente contenuti, ad esempio, per gli screening oncologici effettuati nelle regioni in Piano, e solo parziale nel 2022 è stato il recupero delle prestazioni non effettuate durante la pandemia; il tasso di pazienti trattati in Assistenza domiciliare integrata (Adi) resta contenuto, soprattutto nel caso dell’indicatore per intensità di cura CIA 1, che si colloca in ben 8 regioni al di sotto della soglia minima del 2,6 per cento.
Se sono in miglioramento gli indicatori relativi all’area ospedaliera in termini di appropriatezza e di sicurezza e qualità delle cure, resta tuttavia eccessivo in tutto il Paese (ma soprattutto al Sud) il ricorso ai parti cesarei nelle strutture con un limitato numero di parti l’anno; come pure non è stata raggiunto nella maggior parte delle regioni meridionali l’obiettivo di interventi tempestivi per alcune patologie, quali la rottura del femore nei pazienti anziani, in cui gli esiti dell’operazione dipendono in modo cruciale dalla brevità dei tempi intercorrenti dal ricovero. Continuano a segnalare situazioni di inefficiente utilizzo delle risorse ospedaliere e, al contempo, una inadeguatezza della rete territoriale, gli indicatori legati agli accessi ai Pronto soccorso che, diminuiti durante la pandemia, sono aumentati nuovamente nel 2021, evidenziando come in numerose realtà territoriali gli ospedali siano il principale (e a volte l’unico) punto di riferimento per l’assistenza. Difficoltà che trovano riscontro sia nel ritardo con cui è stato possibile recuperare le liste d’attesa dei ricoveri e della specialistica ambulatoriale accumulate durante la pandemia, sia nelle problematiche relative al personale soprattutto ospedaliero. Nonostante la proroga di alcune misure adottate durante l’emergenza e la possibilità di stabilizzare gli operatori sanitari, nel 2022 si sono rese sempre più evidenti le carenze di organico, specie in alcune strutture. In particolare, sono venute ad aggravarsi criticità nel funzionamento dei servizi di emergenza e urgenza, sia in riferimento all’utilizzo dei c.d. medici a gettone, sia, più in generale, in relazione alla disponibilità di risorse professionali necessarie a garantire il funzionamento di una componente cruciale del sistema di assistenza.
Il recupero delle prestazioni
A inizio 2022, sono state trasmesse dal Ministero della Salute le Linee guida per il recupero delle prestazioni sanitarie non erogate a causa dell’epidemia, individuando gli screening oncologici tra quelle prioritarie. Secondo i Piani operativi regionali, che definiscono le modalità organizzative per colmare il gap assistenziale, al 1° gennaio 2022 risultavano da recuperare 5,7 milioni di inviti e oltre 3 milioni di screening. La percentuale di recupero nell’anno era stimata in
media pari all’89 per cento per i primi e al 93 per cento per i secondi, con valori di recupero inferiori alla media nelle Marche (appena il 18 e il 20 per cento), in Liguria (il 20 e il 27 per cento), in FVG (25 per cento degli screening, n.d. il dato relativo agli inviti) e in Abruzzo (73 e 68 per cento). I dati, ancora provvisori, al 31 dicembre 2022 che emergono dal monitoraggio svolto dal Ministero della salute in collaborazione con Agenas indicano un grado di realizzazione inferiore a quanto programmato: rispettivamente il 73 e il 62 per cento nella media nazionale. Valori che scendono al 34 e al 9 per cento in Calabria e al 21 e 16 per cento in Campania; il Lazio recupera interamente gli inviti programmati, ma solo il 9 per cento delle prestazioni.
In conclusione, le difficoltà che ancora caratterizzano il sistema sanitario, provato dalla crisi pandemica, confermano la validità delle analisi su quali fronti intervenire per migliorare l’assistenza e per trovare un nuovo equilibrio tra ospedale e presidi territoriali, ma richiedono anche una risposta adeguata alle esigenze del personale sanitario. Un percorso che necessita – evidenzia la Corte dei Conti – di una riflessione attenta sul rilievo del settore nel quadro della programmazione nazionale”.
GLI INVESTIMENTI IN SANITÀ
“I difficili e nuovi equilibri a cui il comparto sanitario deve tendere – afferma ancora la Corte dei Conti – richiedono anche un miglioramento dell’ordinaria attività di investimento. L’adeguatezza del patrimonio immobiliare e tecnologico delle aziende sanitarie e, quindi, le scelte di investimento a questo funzionali, rappresentano aspetti cruciali sia per le implicazioni operative relative alla capacità di fornire servizi adeguati sia per l’impatto economico dei costi connessi alla gestione. Una programmazione efficiente degli interventi per migliorare l’assistenza è richiesta da diverse esigenze: ridurre i costi di manutenzione; rispondere adeguatamente alla spinta delle politiche ambientali ed energetiche; calibrare gli interventi sulle necessità di potenziamento dell’assistenza territoriale; superare criticità connesse alla vetustà del patrimonio; economizzare sui costi sopportati per gli affitti dei locali utilizzati; mettere in sicurezza le strutture dai rischi sismici.
La disponibilità delle risorse del Pnrr – orientate in prevalenza a un potenziamento dell’assistenza territoriale, quella che si è rivelata più fragile di fronte alla crisi pandemica – non deve far dimenticare l’urgenza di intervenire per rimuovere i limiti che hanno finora impedito un efficace utilizzo dei fondi previsti per gli investimenti “ordinari” nel campo della sanità. L’occasione del Piano va colta, oltre che per le realizzazioni effettive, anche perché offre alle amministrazioni la possibilità di recuperare una capacità progettuale che è stata, in molte realtà, persa negli anni del risanamento finanziario. Solo così sarà possibile riassorbire i ritardi che si sono registrati fino ad ora nella gestione degli accordi di programma e che si traducono non solo nel mancato utilizzo dei fondi, ma anche in tempi di progettazione e di realizzazione troppo lunghi. Buona progettazione, chiari obiettivi e necessità di adeguamento delle dotazioni infrastrutturali e tecnologiche devono andare di pari passo – prosegue la Corte – con una semplificazione delle procedure, che consenta di utilizzare al meglio le disponibilità specifiche, riducendo la necessità di ricorrere a finanziamenti correnti per mantenere in funzionamento le strutture. Anche in relazione alle necessità che si dovranno affrontare per l’invecchiamento della popolazione, non si può assecondare, senza rischi per la tenuta del sistema, che un quarto degli investimenti annualmente necessari sia finanziato attingendo a risorse correnti. Per gli investimenti in macchinari, infrastrutture di dimensione contenuta, gli enti del SSN si devono poter avvalere di meccanismi più semplici nell’accesso ai finanziamenti e conseguenti semplificazioni delle procedure. Ma questo deve essere accompagnato da una revisione del sistema delle revoche di fondi, che sanzioni l’assenza di una adeguata programmazione e la cattiva progettazione, cause, troppo spesso, di una dilatazione dei tempi di impiego delle risorse. Maggiore rigore deve poi assistere le attività di monitoraggio in fase di realizzazione, per consentire di superare le lacune oggi esistenti anche su questo fronte e che incidono esse stesse sul raggiungimento degli obiettivi. Un quadro informativo indispensabile per fare in modo che, in una fase di forte accelerazione degli investimenti, quale quella che ci apprestiamo ad affrontare (ai 2 miliardi annuali si dovrebbe aggiungere nei prossimi 3 anni un importo più che doppio per l’attuazione del Piano) possa dare un contributo effettivo un tavolo tecnico interistituzionale, come quello istituito lo scorso giugno, o una unità di missione ulteriore che assista gli enti nella realizzazione dei programmi e possa garantire uno stretto coordinamento tra i diversi strumenti a disposizione”.