
Non invoco indulgenza per gli imbrattatori di opere d’arte, dediti ultimamente a gettare carbone vegetale nelle fontane di Roma. Anzi.
di Giovanni Monchiero*
Oltre alla ovvia considerazione che chi rompe paga e chi sporca monumenti dovrebbe risarcire le spese di pulizia, la performance di martedì scorso degli attivisti di Ultima Generazione esige maggiore severità a causa dell’aggravante del momento, del tutto inappropriato, scelto per questa comoda forma di protesta. Sguazzare nel nero di Trevi, mentre in Emilia si contano, morti, danni per miliardi di euro, migliaia di sfollati e il centro storico di Ravenna rischia di venire travolto dal fango, a me è sembrato indecente.
Eppure, continuo a pensare che Greta Thumberg e i suoi seguaci, anche i più fanatici imbrattatori di opere d’arte, siano dei preziosi ottimisti.
Non sussistono ragioni per dubitare della tesi – sostenuta dalla maggior parte degli scienziati – che i mutamenti climatici in atto discendano dall’agire della nostra specie. Ne segue il corollario che, cambiando i nostri comportamenti, la trasformazione in atto sia contenibile e, nel medio periodo, reversibile.
Punto debole di questo ragionamento è che prescinde dal numero degli umani che affollano il pianeta. All’inizio del secolo scorso la popolazione non raggiungeva i 2 miliardi di individui. Cinquant’anni dopo, nonostante due spaventose guerre mondiali, epidemie e carestie con non meno di cento milioni di morti, la popolazione era salita a 2 miliardi e mezzo. Oggi siamo 8 miliardi e, ci dicono i demografi, un’inversione di tendenza è prevedibile non prima della metà del secolo. Otto miliardi di individui che respirano, bevono, mangiano, lavorano, si lavano, si muovono, in una parola, vivono.
E, grazie al progresso economico e alla medicina, vivono – in media, nel mondo- ben venticinque anni in più dei loro nonni. Se aggiungiamo che, anche solo respirando, un uomo produce anidride carbonica come un’auto diesel che percorra mille km al mese, la situazione appare irrimediabilmente compromessa e sottratta alle nostre capacità di recupero.
Non lo dico per giustificare i negazionisti. Né i paesi (i 4/5 della popolazione mondiale!) che hanno sottoscritto i protocolli di Kyoto e di Parigi per poi non rispettarli. Gli Stati Uniti, con Trump avevano addirittura ritirato l’adesione! La tendenza a perseguire il proprio interesse contingente senza badare alle conseguenze è un vizio antico, che oggi mette in pericolo la sopravvivenza stessa dell’umanità.
Per contro, le soluzioni proposte da alcuni stati europei, guarda caso i più piccoli e i più ricchi, dalle auto elettriche alle emissioni zero, appaiono presuntuose e socialmente insostenibili: la virtù praticata tra le betulle della Scandinavia è irrilevante per il mondo, e non si può chiedere ai più poveri di sostenere gli stessi costi dei ricchi.
Tuttavia, la ragione ci induce a pensare che, alla fine, tecnologia e buonsenso verranno in soccorso di tutti, ricchi e poveri, convinti e dubbiosi, determinati e incerti. E che la specie umana troverà soluzioni efficaci e sostenibili, a patto che dimostri di volerlo.
In questo contesto, ben vengano gli ottimisti. Ci spronano a decidere.
Editorialista di Panorama della Sanità