
Eletto presidente Ail, Giuseppe Toro si proietta in una lotta, estremamente sfidante, che impegna l’associazione in primissima linea. Psicologo di reparto, ricerca e grande attenzione ai bisogni dei pazienti: questi i punti cruciali della lotta alla malattia leucemica
Presidente, una carica importante e tanto lavoro da fare in continuità con quanto di buono fatto fino ad oggi. Quale il primo punto nella sua agenda?
Il primo punto per un’associazione come la nostra, è sostenere la ricerca. In questi anni, Ail, in parallelo alle scuole e all’ematologia italiana, ha compiuto passi da gigante sul fronte della cura della malattia leucemica arrivando quasi al settanta per cento di buoni risultati, e punta a migliorare ancora. Quindi il primo compito dell’associazione che mi onoro di presiedere è, e resta, senza dubbio quello di sostenere tenacemente questi sforzi, aiutare le divisioni di ematologia, promuovere progetti di ricerca multicentrici coinvolgendo le società ematologiche e naturalmente erogare borse di studio per sostenere la ricerca indipendente. Questo Ail lo fada molti anni, e continuerà a farlo con grande determinazione. In particolare volevo segnalare il sostegno al Ginema, ilgruppo cooperativo che raccoglie tutte le ematologie italiane, al quale Ail eroga il dieci per cento del cinque per mille, oltre ad ospitarlo nei suoi locali.
Voi operate delle importantissime campagne di sensibilizzazione e informazione. Quanto è importante investire sulla consapevolezza dei cittadini? E si fa abbastanza?
La sensibilizzazione dei cittadini è assolutamente fondamentale. Ail è infatti sostenuta dalla generosità della società civile ed è proprio grazie a questa che da oltre cinquant’anni opera e porta avanti un welfare a sostegno dei malati e delle loro famiglie. Oggi Ail sostiene settanta residenze e quaranta centri che portano avanti l’assistenza domiciliare, i servizi navetta e i viaggi solidali.
La ricerca è importantissima. Siamo sempre però di fronte ad un assunto: in Italia farne è difficile. Si tratta di un luogo comune o si potrebbe fare di più per potenziarla (a livello politico intendo)?
Non è assolutamente un luogo comune. Ail sostiene la ricerca, ma ancora di più cerca di spingere le Istituzioni a investire in sanità. Non dimentichiamo che prima di arrivare alla ricerca abbiamo da affrontare problemi di ordine clinico: mancano i medici. Quindi è fondamentaleche le Istituzioni facciano la loro parte.
Lei ha parlato di vicinanza a pazienti, cargiver e familiari. Quanto conta l’aspetto umano?
L’aspetto umano è fondamentale. Lei sottolinea un punto sul quale stiamo lavorando in maniera intensa e mi dà l’occasione di ricordare due aspetti. Il primo è che la nostra associazione si muove con quindicimila volontari che sono presenti nei centri di ematologia e in tutti i luoghi dove il paziente transita, (i front office, i dayhospital, nelle case Ail e nei reparti, ndr). Una presenza non medica che abbiamo fortemente voluto e che riteniamo indispensabile per i pazienti, capace di ascoltare i loro bisogni e sostenerli nella lotta ad una malattia che, come detto, può durare anche lunghi anni. Il loro impegno è un grande successo della nostra associazione.
Accanto a loro, qui vengo al secondo punto, occorre però offrire un sostegno psicologico professionale. Noi stiamo promuovendo in tutti i modi la presenza dello psicologo in reparto. Sono oltre sessantacinque glipsicologi finanziati direttamente da Ail che sono presentinelle ematologie italiane. Questo è un punto su cui dobbiamo assolutamente batterci, perché spesso questa figura viene compresa nella pianta organica, ma poi viene ignorata nella sua assunzione. La presenza dello psicologo è invece fondamentale al momento della comunicazione della diagnosi e nel seguire poi un malato in tutte le fasi della sua lotta alla malattia che, voglio ricordarlo, va aggredita certamente sul piano clinico, ma anche nei suoi aspetti psicologici più sfidanti.