
Grinta, idee chiare e pragmatismo. Abbiamo chiesto a Daniela Sbrollini, vicepresidente della Commissione Affari sociali del Senato, di aiutarci a leggere il particolare momento che la sanità italiana sta vivendo e quel che è emerso ci proietta in un prossimo futuro ambizioso (e sfidante)
Senatrice, lei qualche giorno fa ha usato parole forti parlando di una sanità a rischio ‘collasso’. Quali le emergenze che la preoccupano di più?
Purtroppo, dopo il covid, tutti gli indicatori sulla sanità ci raccontano di un peggioramento strutturale. Ovviamente i problemi c’erano anche prima e la stagione dei tagli, lo sappiamo benissimo, non origina certamente oggi, ma è del tutto evidente come la pandemia abbia acuito le criticità e messo in evidenza tante, troppe, differenze geografiche. E non mi riferisco solo al canonico nord, centro e sud, ma parlo di differenze presenti all’interno delle stesse regioni, tra province e financo tra i comuni che sono serviti in maniera diversa.
Questo accade certamente perché le strutture e i servizi non sono uguali ovunque, ma anche perché alcune amministrazioni non hanno posto la giusta attenzione rispetto a misure che avrebbero dovuto essere strutturali e non emergenziali.
Il risultato che ne consegue è drammatico e impatta su un sistema sanitario pubblico già reso sofferente dalla nota carenza di medici, di infermieri e di risorse economiche. Tengo poi ad aggiungere un elemento al quadro di insieme, perché a questa situazione, a dir poco complessa, si somma un drammatico impoverimento della popolazione e delle famiglie, che sempre più spesso rinunciano alla prevenzione.
Anche qui i dati variano da Regione a Regione. Troppa differenza forse per un sistema che si presenta come ‘universalistico’.
Il divario territoriale è spaventoso. Ad oggi vivere in una Regione ricca, dove lo screening è gratuito, significa vedersi recapitare una lettera direttamente a casa con tutte le indicazioni utili al caso, ma se ci spostiamo geograficamente in altre realtà d’Italia questo servizio semplicemente non esiste, e vedremo quindi che i numeri relativi alla prevenzione crollano vertiginosamente.
A completo discapito della salute, voglio sottolineare, non solo del singolo cittadino, ma anche della salute di una comunità intesa come insieme di beneficiari di un servizio, e contribuendo a mettere sotto stress il sistema nel suo complesso. Pensiamo, ad esempio, alle lunghissime liste d’attesa che sono assolutamente intollerabili.
Su questo tema noi abbiamo avanzato delle proposte, trovato anche delle coperture finanziarie, ma siamo ben consapevoli del fatto che per risolvere questi problemi ci vorranno anni e nel frattempo abbiamo il dovere di dare delle risposte ai cittadini.
Parliamo di questa proposta. Di cosa si tratta?
Sappiamo che per abbattere almeno il trenta per cento delle liste d’attesa, bisognerebbe investire subito dieci miliardi di euro. Il ministro Schillaci ne ha chiesti tre, che però servono per tamponare alcune urgenze, ma quelle risorse, quei 10 miliardi, noi potremmo recuperarli attingendo alla crescita economica che abbiamo registrato nell’anno e mezzo del governo Draghi e che quindi oggi è a disposizione di questo governo.
Qui si tratta di decidere quale sia la priorità, se questa è, come pensiamo noi, investire in salute e in sanità, questa è certamente una strada da sondare.
E questi soldi sarebbero più che utili per operare quel ripensamento strutturale del sistema, di cui tutti parlano, e che non può non includere un assottigliamento dei divari regionali.
Certamente. E questo inevitabilmente ci porta ad una riflessione politica. Noi dobbiamo, in tema di dibattito sull’autonomia differenziata, tornare ad occuparci della revisione del Titolo V. Perché oggi abbiamo da un lato venti sistemi regionalizzati tutti in deficit, perché sappiamo che anche le Regioni più ricche hanno dei buchi enormi, e dall’altra parte un Ministero della Salute che ha sempre meno potere di incidere non solo rispetto al controllo dei Lea, ma anche specificatamente sul come vengono effettivamente spese le risorse. Qui a venir meno è sì il ruolo di monitoraggio e di controllo, ma anche quello di indirizzo che dovrebbe invece essere nazionale.
Un ruolo di garanzia, se vogliamo?
Bisognerebbe avere una visione a trecentosessanta gradi, e qui il ministro Schillaci, con cui io lavoro benissimo e che considero un grande professionista, ha le idee chiare, ma non gli strumenti per poter agire. E quindi la politica deve avere il coraggio di riprendere in mano il Titolo V. Il che, intendiamoci, non significa riportare tutto nelle mani dello Stato, ma significa che le linee di indirizzo e il controllo del rispetto dei Lea, degli indicatori più importanti devono essere in mano al ministro della Salute e garantiti in modo uniforme in tutta Italia. Non possono essere delegate alle regioni.
Veniamo, senatrice, ad un punto che so essere a lei molto caro e sul quale si sta battendo molto. Il contrasto all’obesità. Sua l’iniziativa di un intergruppo parlamentare ad hoc (Intergruppo Parlamentare Obesità e Diabete e sulle Malattie croniche non trasmissibili, ndr).
L’obesità infantile è un problema enorme. Dobbiamo assolutamente iniziare dai bambini a fare prevenzione, soprattutto sapendo che proprio con riguardo a questa fascia di età i numeri sono veramente allarmanti e che ci mettono purtroppo tra i primi posti in Europa.
Occorre incentivare, e con forza, lo sviluppo di contesti urbani sempre più a misura di bambino, perché se agiamo oggi, in questa direzione, favoriremo la crescita di soggetti adulti sani e ridurremmo l’impatto dal punto di vista sociale ed economico sui territori e sulle comunità.
Parliamo quindi di ambiente, ma anche di stili di vita, di sana alimentazione di sport e quindi di attività fisica. Io ho presentato, e ci tengo molto, un disegno di legge che inserisce l’attività fisica tra le possibili prescrizioni del medico di base. Una ricetta medica, quindi, con la quale la relativa spesa può essere detratta nel 730 come facciamo oggi con gli scontrini dei farmaci.
Nata a Latiano (Brindisi) nel 1971, Daniela Sbrollini vive a Vicenza e lavora all’Anci Veneto da molti anni. Senatrice di Italia Viva. Deputata PD dal 2008. Dal 2013 al 2018 è stata vicepresidente della Commissione Affari Sociali e Sanità della Camera. Nel 2019 ha aderito alla iniziativa di Matteo Renzi uscendo dal Pd per costruire la nuova proposta politica di Italia Viva. Segretaria del Gruppo del Senato Italia Viva-Psi. Vicepresidente X Commissione “Affari Sociali” del Senato, Presidente dei gruppi interparlamentari “Qualità di vita nelle città”, “Obesità, Diabete e malattie croniche non trasmissibili” e “Amici dei valori dello sport e della maglia azzurra”. Responsabile Nazionale Dipartimento Sport e per Italia Viva.
Qui si tratta di un vero e proprio cambio di paradigma?
Esattamente. La prevenzione, a tutti i livelli è un punto per me prioritario. E credo sia opportuno rimettere al centro di questo ragionamento non solo il paziente, ma anche la figura del medico di base. È infatti lui che detiene, a tutti gli effetti, la titolarità e la capacità di orientare i suoi pazienti verso stili di vita consapevoli accompagnandoli e indirizzandoli verso una corretta prevenzione (anche basandosi, opportunamente, sulla loro storia clinica e sull’anamnesi familiare).
A lui però dobbiamo certamente offrire gli strumenti più adatti, (anche sburocratizzando il suo lavoro) per esercitare al meglio questa sua preziosa funzione preliminare. Poi è chiaramente opportuno pensare alla Medicina territoriale, alla telemedicina e alla digitalizzazione, tutti strumenti preziosi che dovrebbero ora andare a regime anche grazie alle risorse del Pnrr. Si tratta di costi, è vero, ma investire ora significherebbe opzionare un beneficio, tangibile, sulla sanità di domani.
Lei ha toccato un punto chiave. Il Pnrr. Certamente aiuta (ma non è tutto). Le chiedo se è soddisfatta dell’impianto e eventualmente che cosa manca?
Intanto va detto che con il Pnrr possiamo intervenire sull’edilizia sanitaria, ma non sulle assunzioni del personale con il rischio di realizzare vere e proprie cattedrali nel deserto. Poi, purtroppo, stiamo procedendo con troppa lentezza. Ci sono sei missioni tutte dedicate ad aspetti fondamentali che hanno l’ambizione di rivoluzionare il sistema e il potenziale per ridurre il gap esistente tra aree geografiche, differenze sociali, economiche e culturali delle famiglie italiane. Tutto molto sfidante, ma si potrebbe sicuramente lavorare in maniera molto più spedita.
Lei ha parlato del Mes come di una occasione persa (e ora servono risorse). Un rebus di non facile soluzione. Che fare?
Perdere trentasette miliardi di euro che sarebbero stati preziosi per assunzioni, per misure strutturali e quindi per la messa a terra di un piano organico capace di impattare sui prossimi dieci anni, è stato, a mio modo di vedere, molto azzardato. Anzi, per quanto mi riguarda, considero di una gravità inaudita l’aver perso quell’occasione per motivi di chiara natura ideologica.
Oggi è davvero difficile immaginare di avere altri modi per recuperare risorse economiche così importanti.
La commissione del Senato, di cui lei è vicepresidente, è molto attiva, e in generale sembra che la politica si sia accorta delle necessità di un Ssn in affanno e che tenti di intervenire. Ma la saluto con una domanda ‘cattivella’: cosa potrebbe fare la politica (che ad oggi non fa)?
Io penso che la domanda delle domande sia proprio questa. Se la politica arriva in ritardo, e non ne faccio certamente una questione di partito perché purtroppo i tagli ci sono stati in tutti i governi, e se siamo arrivati ad un punto di non ritorno, questa è una sconfitta di tutti.
Questo è il momento di investire, di dare priorità alla sanità e ad una chiara programmazione per i prossimi anni oppure le diseguaglianze tra i cittadini non potranno che aumentare. È impensabile mantenere un Paese nel quale la prevenzione, ad esempio, sia una questione da ‘ricchi’. Quindi la riflessione di fondo è proprio questa: dovremmo lavorare per correggere la rotta.
E qui entra in ballo il concetto (stabilito, ma non sempre pienamente realizzato) di diritto garantito per tutti (non solo per chi può provvedere da solo a sé stesso).
Esattamente. Se è un diritto universale, riconosciuto peraltro dall’articolo trentadue della Costituzione, deve essere per tutti. Ma questo oggi non è così scontato. Ci sono ancora troppe differenze e troppi modelli regionali diversi tra di loro che, peraltro spesso non comunicano nemmeno tra di loro. Bisogna cambiare passo e creare un’alleanza, o come piace dire a me, fare un vero lavoro di squadra attraverso una rete di competenze che metta assieme ministeri diversi, professionisti, regioni, enti locali fino a coinvolgere la figura dei sindaci che molto potrebbero fare ad esempio per gli spazi pubblici adatti a favorire l’attività fisica nelle nostre città. Tutti assieme possiamo, e dobbiamo, cambiare direzione.