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A tu per tu con Matteo Ritrovato

Matteo Ritrovato

Assieme all’ingegner Matteo Ritrovato, Head of Hta unit ed esperto di tecnologie biomedicali presso l’ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, analizziamo lo stretto rapporto che consta tra Hta e ingegneria clinica ragionando nel contempo sulle prospettive offerte da questo particolare momento di passaggio

Nuovo regolamento Ue e un Piano Nazionale ad hoc. Il momento è d’oro. Quale il principale ostacolo che resta per una applicazione piena dell’Hta oggi in Italia?

Il momento è d’oro forse perché siamo all’alba. Mentre certamente in Eu si sta lavorando per mettere a punto i meccanismi operativi necessari, e va detto particolarmente complessi, per rendere “funzionante” l’Htar, noi dobbiamo tenere a mente che i “primi risultati” determinati dal nuovo regolamento, intesi come JCA (che è il caposaldo di tutto il nuovo framework europeo di Hta) si vedranno non prima del 2025 (e per quanto riguarda i Dm, e per ricollegarci al piano nazionale, non prima del 2030).
Calando poi ancor più il ragionamento all’Italia, e parlando di ostacoli, mi soffermerei sulla complessità tecnico-scientifica e sull’onere amministrativo necessario per condurre valutazioni approfondite su un’ampia gamma di dispositivi medici. L’Hta richiede infatti una raccolta sistematica di dati scientifici, evidenze cliniche ed economiche, nonché l’elaborazione di analisi per determinare l’efficacia, la sicurezza e il valore dei dispositivi medici. Questo processo può richiedere tempo, risorse e competenze specialistiche (che, tra l’altro, sono state un po’ disperse dopo la finanziaria 2015) per essere condotto in modo adeguato. Particolarmente articolato, ma chiaramente indispensabile, è infatti il coinvolgimento e la cooperazione di tutte le parti interessate, inclusi i produttori di dispositivi medici, le autorità regolatorie, gli enti di ricerca e i professionisti sanitari, che sono essenziali per garantire l’accesso a dati di alta qualità e la corretta implementazione dell’Hta.
Per superare quest’ostacolo, sarebbe opportuno investire nella formazione di professionisti specializzati in Hta e nella definizione di un format valido e uniformato per tutto il Paese.

Hta e ingegneria clinica il rapporto è strettissimo (ed evidente) quale lo sforzo che gli ingegneri clinici possono produrre per la messa a regime di un sistema di Hta omogeneo?

Il rapporto tra Health Technology Assessment (Hta) e ingegneria clinica è sicuramente strettissimo ed evidente, poiché entrambi i settori si concentrano sulla valutazione, l’analisi e l’applicazione delle tecnologie sanitarie per migliorare l’efficacia e la sicurezza delle cure mediche. Gli ingegneri clinici hanno una competenza tecnica specifica e una profonda comprensione delle tecnologie mediche, il che li rende attori chiave nella promozione e nell’implementazione di un sistema di Hta omogeneo.
Tralasciando di fare un elenco completo degli ovvi contributi che gli ingegneri clinici apportano nei processi di Hta (cfr raccolta e analisi dei dati tecnici, individuazione dei vincoli infrastrutturali, tecnologici e organizzativi, confronto tra prestazioni dei diversi Dm, valutazione delle funzionalità e dell’usabilità dei dispositivi e loro rispondenza alle necessità cliniche, valutazione della sicurezza e dell’affidabilità delle tecnologie) voglio evidenziarne due in particolare: il primo attiene alla metodologia di analisi e valutazione delle tecnologie in un processo Hta (simulazione e gestione dell’incertezza); il secondo attiene alla RWE (cui gli ingegneri clinici, probabilmente cooperando con l’Ict, dovrebbero garantire l’accesso in real time a tutti i dati delle tecnologie in uso, associandoli ai pazienti e alle loro caratteristiche cliniche, per permettere studi approfonditi e “immediati”)


Laureato in Ingegneria Elettronica (indirizzo Biomedico) nel 2003 presso l’Università degli Studi di Bologna, Matteo Ritrovato ha conseguito due Master di II livello in “Ingegneria in Chirurgia” (presso il Politecnico di Milano) ed in “Management in Clinical Engineering” (presso l’Università di Trieste), ed il Dottorato in Bioingegneria (Politecnico di Milano).
Dal 2006 lavora presso l’OPBG, occupandosi di valutazione di tecnologie sanitarie (Health Technology Assessment, HTA) prima in qualità di Responsabile dell’Unità di Ricerca HTA & Safety e, dal 2016, come Responsabile del Servizio di Health Technology Assessment dell’OPBG. Ricopre, inoltre, il ruolo di Addetto al Rischio Tecnologico nel Servizio di Prevenzione e Protezione, occupandosi principalmente dell’informatizzazione dei processi legati all’analisi del Rischio da Tecnologie Biomediche.
In precedenza ha svolto attività di ricerca nel campo della Computer Assisted Surgery per lo sviluppo di strumenti e tecnologie innovative presso l’IRCCS Istituti Ortopedici Rizzoli di Bologna (dal 2004 al 2006). È docente presso diverse Università Italiane sulle tematiche dell’HTA e del Rischio da Tecnologie Biomediche ed autore di diverse pubblicazioni a livello nazionale ed internazionale sulle medesime tematiche. È stato relatore a numerosi convegni nazionali ed internazionali del settore.


Le Regioni procedono in ordine sparso, la Hta ospedaliera è stata di fatto azzerata nel 2014. Quale possibile contromisura da adottare (se ve ne è una) e quale la principale negatività prodotta da questa situazione?

Mi chiedo, in quale campo ormai le Regioni non procedono in ordine sparso? Per l’Hta vale senz’altro quanto sottolineato prima: la necessità di uno standard operativo per l’esecuzione e la conseguente elaborazione del report di Hta. Ma anche una volta definito questo occorre pensare ad una struttura che coordini e sovraintenda le attività svolte dalle regioni. Il timore è che, se questa rimarrà Agenas nel suo attuale organico, ripercorreremo la strada, non proprio fertile, del primo Pn_Hta Dm (per favorire il quale si era decisa l’abolizione dell’Hta ospedaliera). Inoltre, staremo a vedere se, dall’attuazione della proposta tecnica di Agenas per il Pn_Hta_Dm23-25, dall’atteso nuovo regolamento per l’Albo dei Centri collaborativi Hta, dalla volontà delle Regioni che sono di fatto chiamate a costituire la rete di centri con cui supporteranno Agenas per il suddetto Pn_Hta Dm, l’Hta “rientrerà” anche negli ospedali pubblici.

Da più parti si assiste ad un costante rimando alla necessità di investire in formazione. Condivide questa come priorità nel dibattito di oggi o vi è qualcosa di ancora più importante di cui occuparsi?

Se intende ripartire dalla scuola primaria, secondaria di primo e secondo grado e dall’università, sono assolutamente d’accordo. Credo che queste istituzioni abbiano vissuto negli ultimi 20-30 anni un grave involuzione, spinta da un lato da obiettivi e vision che personalmente non condivido (al contrario, sono convinto che il pensiero critico evolva dalla competenza, e che questa si basi sulla conoscenza: ma se viene a mancare quest’ultima crolla tutto), dall’altro da aberranti meccanismi di funzionamento. Negli ultimi 14 anni abbiamo reclutato decine di neolaureati o laureandi per le attività di ricerca in Hta ed è divenuto sempre più complicato trovare elementi validi. Le cito un episodio recentissimo che esprime al meglio le mie preoccupazioni: un docente universitario con cui collaboro da anni e che “mi ha fornito” diversi ricercatori davvero capaci e in gamba, si è rifiutato, forse per un non dovuto, ma apprezzato, pudore, di “consigliarmi” altri suoi laureandi o neolaureati.
Per quanto riguarda invece la formazione specifica e approfondita (in ambito accademico o post laurea) in Hta, questa si rende certamente necessaria per i professionisti che devono governare e coordinare i processi di valutazione (e se consideriamo quello che ci sarebbe da fare per la realizzazione del Pnhta_Dm, direi che c’è bisogno di professionisti aggiuntivi). Al contrario, per i professionisti che devono partecipare a tali processi e contribuire, attraverso le competenze specifiche della propria disciplina, per la mia esperienza professionale ho constatato che, almeno operativamente, è sufficiente una buona “formazione on the-job”

Quale ruolo delle società scientifiche in questo particolare momento di passaggio?

Farsi parte attiva per la definizione di quello standard metodologico, di cui parlavo in precedenza, in particolare per ciò che riguarda la o le dimensioni di valutazione che competono alla disciplina e ai professionisti che esse rappresentano.
Associato a ciò, fornire ai propri soci “educazione continua” su queste competenze e metodologie specifiche nonché, più genericamente, su metodi e obiettivi dell’Hta, potrebbe agevolare il reclutamento di tali professionisti nei gruppi di lavoro multidisciplinari per l’implementazione dei processi di Hta.


Sihta 2023

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